Benvenuti nel blog “Orizzonte Guatemala”! Siamo un gruppo di amici del Guatemala e con questo strumento di comunicazione e condivisione vogliamo contribuire a fare conoscere l’attualità di questo bellissimo paese, al quale ci legano vincoli di amicizia e di solidarietà con tanti amici guatemaltechi.


giovedì 25 febbraio 2010

70 - NUOVO ATTACCO CONTRO ORGANIZZAZIONI SINDACALI CONTADINE GUATEMALTECHE.

1. Il Comitato Contadino dell’Altopiano (CCDA), membro del Movimento Sindacale, Indigeno e Contadino Guatemalteco (MSICG), per auto sostenere la propria lotta per la giustizia sociale in Guatemala ha sviluppato il progetto “Caffè Giustizia”.
2. Il giorno 9 febbraio 2010 durante le ore notturne quasi all’alba di mercoledì, è stato sottoposto a perquisizione il centro di trasformazione di “Caffè Giustizia” ubicato a Cerro de Oro, a Santiago Atitlan, con il furto di 182 quintali di caffè pergamino, frutto delle fatiche e dei sacrifici dei membri del CCDA.
3.Sulla scena del crimine gli aggressori hanno lasciato messaggi intimidatori sia per il CCDA che per il MSICG.
4.Già da ora condanniamo questo fatto che non vincoliamo direttamente alla delinquenza comune, ma crediamo che vada oltre, dovuto al fatto che il giorno 2 febbraio del presente anno il CCDA, come membro del Movimento Sindacale, Indigeno e Contadino del Guatemala, per mezzo della relazione “Guatemala: il costo della libertà sindacale”, ha denunciato la violenza e gli attacchi focalizzati contro la lotta indigena, contadina e sindacale che porta avanti il MSICG e durante le ultime settimane ha rappresentato il MSICG durante le iniziative in difesa e promozione della Legge sullo Sviluppo Rurale.
5.a questo fatto si deve aggiungere che ogni volta che il CCDA, insieme al MSICG, aderisce ad alcune denunce o in difesa della popolazione indigena, contadina e dell’attività sindacale, è attaccato, come avevamo denunciato al momento dei fatti, ricordando i fatti accaduti il 1 marzo 2008, quando è stato realizzato un attentato contro l’integrità fisica del coordinatore nazionale del CCDA nel quadro della sottoscrizione dell’Accordo quadro per il dialogo sullo sviluppo rurale; il fatto che nel febbraio del 2009, proprio pochi giorni prima che il MSICG ricevesse la missione della OIL di Ginevra e che questa si pronunciasse sulla grave situazione lavorativa e sindacale in Guatemala, il compagno è minacciato di morte; e che proprio il giorno 8 novembre, pochi giorni prima che il MSICG, per mezzo del CCDA, denunciasse durante una conferenza stampa, la poca volontà del Governo del Guatemala che non dà il via al pre progetto di Legge 4084, Legge sullo Sviluppo Rurale, la sede del CCDA è oggetto di violazione di domicilio e in essa vengono lasciati messaggi intimidatori nella stessa sede che è oggetto di violenza oggi.
6.a questo si deve aggiungere che nella nuova violazione, furto e assalto gli aggressori hanno realizzato un cerchio con dei massi che si trovavano sul posto, lasciando nel mezzo del cerchio bottiglie di birra e liquore consumate a metà, e sigarette consumate a metà, che potrebbe essere un avvertimento contro il CCDA e il MSICG.
7.questi fatti costituiscono un atto di intimidazione e non escludiamo che formino parte di una strategia per indebolire il CCDA, per mezzo della distruzione dei suoi strumenti di auto sostenibilità, condannandolo a scomparire o a perdere la sua autonomia.
Di fronte a questi fatti, il MSICG esige:
1.che si garantisca la vita, la sicurezza e l’integrità fisica della dirigenza del CCDA e dei suoi membri,
2.una immediata ed efficace indagine su questo nuovo attacco contro il CCDA che permetta l’individuazione, cattura e processo degli autori materiali ed intellettuali di questo fatto, e il chiarimento dei fatti precedentemente denunciato, che ad oggi rimangono totalmente impuniti.
Alle organizzazioni sorelle chiediamo di condannare questo attacco che di nuovo colpisce una organizzazione membro del MSICG.
Movimento Sindacale, Indigeno e contadino guatemalteco.
Guatemala, 11 febbraio 2010
(Adital, 12/02/2010)

69 - NUEVO ATAQUE CONTRA ORGANIZACIONES CAMPESINAS GUATEMALTECAS

1. El Comité Campesino del Altiplano -CCDA-, miembro del Movimiento Sindical, Indígena y Campesino Guatemalteco -MSICG- ha desarrollado como herramienta de autosostenibilidad de sus luchas por la justicia social en Guatemala el proyecto "Café Justicia".
2. El día martes 09 de febrero de 2010 entre la noche y madrugada del día miércoles, fue allanado el centro de procesamiento de "Café Justicia", ubicado en Cerro de Oro, Santiago Atitlán, siendo robados 182 quintales de café pergamino, mismos que provienen del esfuerzo y sacrificio de los miembros de base del CCDA.
3. En la escena del crimen los agresores dejaron a los compañeros mensajes intimidatorios tanto para el CCDA como para el MSICG.
4. Desde ya repudiamos este hecho que no vinculamos directamente con la delincuencia común, sino creemos  trasciende, debido a que justamente el día martes 2 de febrero del presente mes y año, el CCDA como parte del Movimiento Sindical Indígena y Campesino Guatemalteco -MSICG-, a través del informe: "GUATEMALA, el costo de la libertad sindical", denunció la violencia y ataques focalizados contra la lucha indígena, campesina y sindical que realiza el MSICG y durante las últimas semanas ha representado al MSICG en la defensa y promoción de la iniciativa de Ley de desarrollo Rural.
5. A este hecho sumamos que cada vez que el CCDA junto con el MSICG participa en alguna denuncia o en defensa de la población indígena, campesina y sindical es atacado tal y como lo hemos denunciado en su momento recordando los hechos acaecidos el 1 de mayo del 2008 cuando se atenta contra la integridad física del coordinador nacional del CCDA en el marco de la suscripción del Acuerdo marco para el dialogo sobre desarrollo rural; el hecho de que en febrero de 2009 justo a pocos días de que el MSICG recibiera la misión de OIT Ginebra y de que esta se pronunciara sobre la  grave situación laboral y sindical en Guatemala el compañero es amenazado de muerte; y que justo el 8 de noviembre a pocos días que el MSICG a través del CCDA denunciará en conferencia de prensa la poca voluntad del gobierno de Guatemala al no darle marcha al
anteproyecto de ley 4084 Ley de Desarrollo Rural Integral la sede el CCDA es allanada y se dejan mensajes intimidatorios en el mismo beneficio de café que hoy es violentado.
Nuevo ataque contra organizaciones campesinas guatemaltecas
6. A esto debe agregarse que en el nuevo allanamiento, robo y ataque los agresores, elaboraron un círculo con algunos blocks que se encontraban en el lugar dejando en medio del círculo botellas de cerveza y licor consumidas todas solo a la mitad y cigarrillos consumidos también solo a la mitad, lo cual podría  constituir una advertencia contra el CCDA y el MSICG.
7. Estos acontecimientos constituyen un acto de intimidación y no descartamos que formen parte de una estrategia de debilitamiento para conducir al CCDA, a través de la destrucción de sus herramientas de autosostenibilidad, a desaparecer o a perder su autonomía.
ANTE ESTOS HECHOS EL MSICG EXIGE
1. Se garantice la vida, la seguridad y la integridad física de la dirigencia del CCDA y de sus miembros.
2. Una inmediata y eficaz investigación respecto a este nuevo ataque contra el CCDA que permita la individualización, captura y enjuiciamiento de los autores materiales e intelectuales de este hecho y el esclarecimiento de los hechos antes denunciados que a la fecha permanecen en total impunidad.
A las organizaciones hermanas, condenar este ataque que nuevamente afecta a una organización miembro del MSICG.
Guatemala 11 de febrero de 2010.
MOVIMIENTO SINDICAL, INDIGENA Y CAMPESINO GUATEMALTECO, ADITAL 12/02/2010

domenica 21 febbraio 2010

68 - MORIRE PER IL SOLO FATTO DI ESSERE DONNA È DIVENTATA UNA COSTANTE.

Orfani, vittime collaterali della violenza. Alcuni avevano ancora i pannolini quando hanno smesso di ascoltare la loro voce e di sentire i suoi abbracci. Altri andavano a scuola, e al ritorno, la sua presenza era sparita dalla casa, mentre i più grandi stavano entrando nell’adolescenza quando i loro occhi hanno visto come la violenza spezzava la vita della loro madre.
I figli e le figlie del  femicidio (assassinio delle donne) gli orfani della violenza, le vittime collaterali – quello è il nome con i quali vengono definiti – loro sono ora un anello della catena di violenza che giorno dopo giorno toglie la vita alle donne guatemalteche, principalmente di coloro che sono in età fertile.
Morire per il solo fatto di essere donna è diventata una costante in questo paese. Tanto che sono già 20 le donne entrate all’obitorio dall’inizio dell’anno. La gran maggioranza, secondo quanto afferma la direttrice dell’Istituto di Scienze Forensi (INACIF) Miriam Monroy, uccise con un colpo di fucile alla testa o con gravi escoriazioni. Ma quasi tutte avevano precedenti di sofferenze prima della morte, ha detto la funzionaria a SEMIac.
L’Università Statale di San Carlos ha elaborato la prima indagine della situazione in questo paese dell’area centroamericana, che analizza come si sentono i figli e le figlie delle donne assassinate nella capitale del Guatemala.
Il documento, elaborato dopo aver intervistato almeno 33 bambini e bambine le cui madri furono assassinate dimostra che in ogni famiglia colpita dalla violenza sono rimasti da tre a sei figli senza mamma.
Poveri e indigenti sono una grande quantità, conclude il dossier, e ciò dimostra che la maggioranza delle donne assassinate viveva in aree marginali, in situazioni infraumane, conferma Norma Cruz, della Fundaciòn Sobreviviente. Inoltre si tratta di donne che lavoravano in casa, nelle maquilas, o occupate nel settore informale.
Lo studio è stato realizzato su casi di donne assassinate a fucilate, strangolate o uccise con arma bianca tra il 2007 e il 2009.
“I loro figli, che sono rimasti orfani ad una età compresa tra i due mesi e fino ai 17 anni, all’improvviso si sono trovati nella condizione di non avere a fianco la persona con la quale maggiormente si identificavano” dice Elsa Arenales, della Scuola di Trabajo Social della Università di San Carlos.
Nei bambini sono apparse macchie sulla pelle, ecchimosi purulente sulla testa, infezioni dell’apparato urinario e perdita di peso, ma coloro che si sono assunti la responsabilità di curarli non avevano mai associato quei sintomi alla morte violenta delle madri.
Elsa Arenales, che ha diretto lo studio, lo chiama “sofferenza post trauma”, determinata dal perdere la persona con la quale più di si identificavano.
La violenza di genere vede in questo paese come principale assassino il marito, l’ex marito o il compagno di vita, ma anche i ragazzi delle pandillas, come sottolineano degli studi elaborati dalle unità di femicidio del Governo.
Solo nel 2009 sono state ricevute oltre 40.000 denunce per violenza all’interno della famiglia, ha informato Zenaida Escobedo dell’Unità di genere del Ministero.
“E’ un dossier commovente, e lo Stato si deve assumere la responsabilità di assistere questi bambini, in modo particolare quelli che sono rimasti con gli assassini delle donne, cioè i loro sposi o ex compagni”, ha affermato l’Ambasciatrice di Spagna in Guatemala, Carmen Diez.
Ma la cosa più grave è che il numero delle donne assassinate si mantiene costante, in media 700 all’anno, uccise a colpi di arma da fuoco, strangolate, smembrate o asfissiate.
Gli orfani del femicidio costituiscono un elenco di almeno 2000 bambini che, assicura Norma Cruz, sono rimasti senza madre come conseguenza dei livelli di femicidio che hanno portato alla tomba per lo meno a 3.500 guatemalteche negli anni dal 2000 al 2007. Queste “vittime collaterali” in alcuni casi sono rimaste affidate a nonne, zii o amici della vittime.
Elsa Arenales, della USAC, sottolinea la sua preoccupazione perche in molti casi, l’analisi indica che la famiglia fugge con i bambini o se li dividono, come se fossero carte da gioco.
Arenales sottolinea che i bambini non sono rimasti con il padre, perché molti di loro non avevano un padre, o i fratelli erano figli di padri differenti che avevano abbandonato la madre, e incluso erano i padri gli autori del femicidio.
In non pochi casi “si sono violati i diritti ad una vita senza maltrattamenti fisici, ad andare a scuola o essere protetti dall’abuso sessuale” afferma Iván Yerovi, rappresentante aggiunto del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia. Yerovi sostiene che “nessuno ha affrontato il problema e la realtà è grave, perché poi i bambini e le bambine entrano a fare parte della delinquenza organizzata o delle maras”.
“La fragilità è a fior di pelle, dato che alcune delle vittime hanno già 15 anni di età e nessuno ha terminato la scuola primaria” afferma Mirna Bojorquez, direttrice della Escuela de Trabajo Social della USAC. Bambini che non dormono la notte, piangono all’improvviso, o sono abituati a portare un’arma giocattolo nel loro zainetto per vendicare la morte della mamma: questa è l’infanzia che hanno trovato i ricercatori della USAC.
Non si identificano nemmeno con la famiglia che li ha adottati dopo la tragedia, e la cosa peggiore è che alcuni bambini e bambine non hanno ricevuto nessun supporto psicologico dopo la morte della mamma, che hanno visto morire per mano dei loro padri.
Le guatemalteche, che formano il 52% dei 14 milioni di abitanti, soffrono violenze all’interno delle famiglie tra i 20 e i 39 anni di età, segnala Yolanda Sandoval, della Procura della Donna del Pubblico Ministero.
Il procuratore del Ministero per i Delitti contro la vita, Blanca Lily Cojulún, non conosce le condizioni dei bambini e bambine dopo l’assassinio delle mamme, perché non è una situazione che rientra nelle competenze di questo organismo.
Il governo del presidente Alvaro Colóm, senza dubbio, inizierà un nuovo progetto per offrire terapie  psicologiche, assistenza sociale e sicurezza. E allo stesso modo cerca di creare una strategia di attenzione immediata per assistere i bambini che perdono la madre in modo violento.
(Alba Trejo, Servicio de Noticias de la Mujer de Latinoamérica y el Caribe, Adital, 11/02/2010)

67 - MORIR POR EL SOLO HECHO DE SER MUJER SE HA CONVERTIDO EN UNA CONSTANTE

Algunos usaban pañales cuando dejaron de escuchar sus voces y sentir sus brazos. Otros iban a la escuela y, al regresar, su presencia se había esfumado de casa, mientras los más grandes entraban a la adolescencia cuando sus ojos vieron cómo la violencia coartaba la vida de su madre.
Los hijos e hijas del femicidio, los huérfanos de la violencia, las víctimas colaterales -de la forma que se les nombre-; ellos y ellas son ahora un eslabón de la cadena de violencia que día a día limita la vida de las guatemaltecas, principalmente de las que se encuentran en edad fértil.
Morir por el solo hecho de ser mujer se ha convertido en una constante en este país. Tanto así que 20 es el número de mujeres que han ingresado a la morgue desde que inició el año. La gran mayoría, según la directora del Instituto de Ciencias Forenses (INACIF) Miriam Monroy, con un tiro en la cabeza o severas excoriaciones. Pero casi todas con un antecedente de sufrimiento previo a su muerte, dijo a SEMlac la funcionaria. La universidad estatal de San Carlos de Guatemala (USAC) elaboró el primer diagnóstico situacional en este país del área centroamericana, que determina cómo se encuentran los y las hijas de las mujeres asesinadas en la capital guatemalteca.
El documento, elaborado después de visitar y entrevistar por lo menos 33 niñas y niños cuyas madres fueron asesinadas, demuestra que en cada hogar violentado quedaron al menos entre tres y seis sin su progenitora.
Pobres y extremadamente pobres una gran cantidad, concluye el informe, lo que solo demuestra que la mayoría de las asesinadas vivían en áreas marginales, en situaciones infrahumanas, confirma Norma Cruz, de la Fundación Sobreviviente. Además de que se trata de trabajadoras de casas, de maquilas o empleadas en el sector informal.
La investigación se realizó en casos de mujeres asesinadas a tiros, estranguladas o ultimadas con arma blanca entre 2007 y 2009. Sus hijos ,que quedaron huérfanos desde los dos meses de nacidos hasta los 17 años de edad, "de repente se encontraron con que ya no tenían a su lado a la persona con quien más se identificaban", dice Elsa Arenales, de la Escuela de Trabajo Social de la USAC.
En ellos y ellas aparecieron las manchas en la piel, las ronchas purulentas en la cabeza, las infecciones del aparato urinario y la pérdida de peso, pero quienes asumieron la responsabilidad de cuidarles nunca lo asociaron con la muerte violenta de la madre.
Elsa Arenales, quien dirigió la investigación, le denomina padecimiento postraumático, al perder al ser con quien más se identificaban.
La violencia de género tiene en este país del área como principal victimario al marido, ex marido, o compañero de vida, pero también a los pandilleros, destacan informes elaborados por la unidad de femicidios del Ministerio de Gobernación.
Sólo en 2009 se recibieron alrededor de 40.000 denuncias por violencia intrafamiliar, informó Zenaida Escobedo de la unidad de género del Organismo Judicial.
"Es un informe conmovedor y el Estado debe asumir la responsabilidad de atender a esos niños, principalmente aquellos que quedaron en manos de los victimarios de las mujeres; es decir, sus esposos o ex compañeros", comentó la Embajadora de España en Guatemala, Carmen Diez.
Pero lo más grave es que, desde 2007, el número de mujeres asesinadas se mantiene constante, a razón de 700 como promedio anualmente, que han sido muertas a tiros, estranguladas, desmembradas o asfixiadas.
Los huérfanos del femicidio engrosan ahora la lista de por lo menos unos 2.000 niños que, asegura Norma Cruz, quedaron sin madre como consecuencia de los niveles de femicidio que han llevado a la tumba a por lo menos 3.500 guatemaltecas entre 2000 y 2007. Esas víctimas colaterales, en algunos casos, quedaron en manos de abuelas, tíos o amigos de la víctima.
Elsa Arenales, de la USAC, muestra preocupación acerca de que, en muchos casos, el diagnóstico determine que la familia huye con los niños o se los reparten, como si fueran naipes.
Arenales destaca que las y los niños no quedaron con sus padres, porque muchos de ellos no tenían papá o los hermanos eran hijos de diferentes padres que habían abandonado a la madre, e incluso fueron los autores del femicidio.
En no pocos, "se violan los derechos a una vida sin maltrato físico, acudir a una escuela o protegerlos del abuso sexual", destaca Iván Yerovi, representante adjunto del Fondo de Naciones Unidas para la Infancia (UNICEF).
Yerovi sostiene que "nadie atacó de entrada el problema y la realidad es grave, porque después los y las niñas pasan a formar parte de la delincuencia organizada o de las maras".
"La vulnerabilidad está a flor de piel, ya que algunas de las víctimas colaterales tienen ya 15 años de edad y ninguno ha terminado la primaria", comenta Mirna Bojórquez, directora de la Escuela de Trabajo Social de la USAC. Infantes que no duermen de noche, lloran de repente o suelen portar un arma de juguete en su mochila para vengar la muerte de su madre: esa es la niñez que encontraron los investigadores de la USAC.
Tampoco se identifican con la familia que los adoptó tras la tragedia y lo peor es que algunos niños y niñas no han recibido tratamiento psicológico desde el fallecimiento de su madre, a quien vieron morir de manos de sus padres.
Las guatemaltecas, que forman el 52 por ciento de los 14 millones de habitantes, sufren violencia intrafamiliar entre los 20 y 39 años de edad, señala Yolanda Sandoval, de la fiscalía de la Mujer del Ministerio Público (MP). La fiscal del Ministerio Público (MP) de Delitos contra la Vida, Blanca Lily Cojulún, no sabe cómo quedaron los y las niñas después de perder a su madre, porque no es una situación de competencia para esa entidad.
El gobierno del presidente, Álvaro Colom, sin embargo, iniciará un proyecto para brindarles tratamiento psicológico, ayuda social y seguridad. Y de igual forma busca crear una estrategia de atención inmediata para atender a la niñez que pierde a su madre de forma violenta.
(Alba Trejo, Servicio de Noticias de la Mujer de Latinoamérica y el Caribe, Adital, 11/02/2010)

giovedì 18 febbraio 2010

66 - RIPRISTINATO L’ORDINE DI CATTURA CONTRO 17 PERSONE COINVOLTE NEL MASSACRO DI LAS DOS ERES

Dopo oltre 27 anni di impunità, la Corte Suprema di Giustizia ha emesso gli ordini di cattura contro i 17 militari coinvolti nel massacro di Las Dos Erres. La misura è stata presa dopo che la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha giudicato il Guatemala e ha emesso un ricorso convalidando gli ordini di cattura precedenti.
Gli ordini di cattura sono stati emessi già dieci anni fa, ma non gli è stata data esecuzione per l’interposizione di 40 salvacondotti che hanno permesso ai militari e agli ex militari di rimanere in libertà e non pagare mai per  i crimini commessi. Dopo l’esecuzione di questa misura, non solo i parenti e familiari delle vittime riceveranno giustizia, ma anche tutti coloro che hanno sofferto maltrattamenti da parte dell’Esercito del Guatemala.
Per dare informazioni sulla decisione della Corte Suprema, le istituzioni coinvolte nella lotta per la giustizia nel caso del massacro di Las Dos Erres, hanno convocato per il 10 febbraio una conferenza stampa. In questa occasione è stato chiarito lo status del processo e la richiesta di esecuzione degli ordini di cattura. “Chiediamo la persecuzione penale,utilizzando tutti i mezzi possibili e necessari per trovare i responsabili”.
Cesar Adan Rosales Batres, Roberto Aníbal Rivera Martínez, Oscar Ovidio Ramírez Ramos, Carlos Antonio Carías López, Jorge Vinicio Sosa Orantes, Alfonso Bulux, Santos López Alonzo, Obdulio Sandoval, Manuel Pop Sun, Mardoqueo Ortiz Morales, Reyes Collin Gualip, Pedro Pimentel Ríos, Fredy Antonio Samayoa Tobar, Jorge Basilio Velásquez López, Cirilo Benjamin Caal Ac, Gilberto Jordan y Agustin Rosales Hernandez devono essere catturati immediatamente dopo che il Pubblico Ministero, la Polizia Nazionale Civile, giudici e magistrati eseguano il ricorso straordinario.
Durante la conferenza stampa, le istituzioni hanno chiesto l’appoggio dei mezzi di comunicazione perché la popolazione e le autorità possano venire a conoscenza degli ultimi avvenimenti. “Ci appelliamo ai mezzi di comunicazione per contribuire a che questo fatto storico che rende possibile la giustizia per le gravi violazioni ai diritti umani. Allo stesso tempo esortiamo la società guatemalteca perché non stia in silenzio e informi le autorità competenti”.
Il 7 dicembre 1982, durante il governo di fatto di Efraín Ríos Montt, un plotone di 40 soldati delle forze armate del Guatemala ha assassinato 252 persone nella comunità di Las Dos Erres, nel dipartimento del Petén. Prima di essere uccisi, uomini, donne e bambini furono torturati e violentati. Dopo questi maltrattamenti, tutti furono uccisi e gettati in un pozzo di quella località.
Prima toccò ai bambini, alcuni dei quali erano ancora vivi, poi le donne e di seguito gli uomini. La maggior parte delle vittime del massacro furono bambini.
“Ventisette anni abbiamo aspettato giustizia, non vogliamo aspettare ancora. Vogliamo la verità, che il nostro paese recuperi la sua memoria storica e che i delitti che hanno ferito la dignità dell’umanità intera siano giudicati perché non si ripetano mai più”.
(Natasha Pitts, Adital, 10/02/2010)

65 - CAPTURA CONTRA 17 INVOLUCRADOS EN LA MASACRE DE LAS DOS ERRES ES REACTIVADA

Después de más de 27 años de impunidad, la Corte Suprema de Justicia emitió los pedidos de captura contra los 17 militares involucrados en la masacre de Las Dos Erres. La medida fue tomada después que la Corte Interamericana de Derechos Humanos juzgó a Guatemala y emitió un recurso revalidando los pedidos de captura anteriores.
Los procesos de captura fueron emitidos hace ya diez años, pero no fueron ejecutados por la interposición de 40 amparos que permitieron a los militares y ex-militares permanecer en libertad y nunca pagar por los crímenes cometidos. Después de la ejecución de la medida, no sólo los parientes y familiares de las víctimas tendrán justicia, sino también todos los que sufrieron malos tratos por parte del ejército de Guatemala
Para informar sobre la decisión de la Suprema Corte, las entidades involucradas en la lucha por justicia en la masacre de Las Dos Erres convocaron para la mañana de este miércoles (10) a una rueda de prensa. En la ocasión se aclaró el status del proceso y sobre la solicitud de ejecución de los pedidos de captura. "(...) Exigimos la persecución penal, utilizando todos los medios posibles y necesarios para encontrar a los responsables".
Cesar Adan Rosales Batres, Roberto Aníbal Rivera Martínez, Oscar Ovidio Ramírez Ramos, Carlos Antonio Carías López, Jorge Vinicio Sosa Orantes, Alfonso Bulux, Santos López Alonzo, Obdulio Sandoval, Manuel Pop Sun, Mardoqueo Ortiz Morales, Reyes Collin Gualip, Pedro Pimentel Ríos, Fredy Antonio Samayoa Tobar, Jorge Basilio Velásquez López, Cirilo Benjamin Caal Ac, Gilberto Jordan y Agustin Rosales Hernández deben ser capturados y aprendidos inmediatamente después que el Ministerio Público, la Policía Nacional Civil, jueces y magistrados acaten el recurso extraordinario.
Durante la rueda de prensa, las entidades pidieron el apoyo de los medios de comunicación para que la población y autoridades puedan enterarse de los últimos acontecimientos. "Apelamos a los medios de comunicación para contribuir con este hecho histórico que posibilita la justicia por las graves violaciones a los derechos humanos. Asimismo, exhortamos a la sociedad guatemalteca para que no guarde silencio e informe a las autoridades competentes".
El día 7 de diciembre de 1982, al mando del gobierno de facto de Efraín Ríos Montt, un pelotón con 40 soldados de las fuerzas armadas de Guatemala asesinó a 252 personas en la comunidad de Las Dos Erres, en el departamento de Petén. Antes de ser ejecutados, hombres, mujeres y niños sufrieron torturas y violaciones. Después de los malos tratos, todos fueron muertos y lanzados en un pozo de la localidad. Primero los niños, algunos de los cuales estaban vivos, después las mujeres y en seguida los hombres. La mayoría de las víctimas de la masacre fueron niños.
"Veintisiete años esperamos por la justicia, no queremos esperar más. Queremos la verdad, que nuestro país recupere su memoria histórica y que los delitos que han lastimado la dignidad de la humanidad entera, sean juzgados para que nunca más se repitan".
(Natasha Pitts, Adital, 10/02/10)

lunedì 15 febbraio 2010

64 - PERCHÉ OPPORSI ALL’ATTIVITÀ DELLE MINIERE DI METALLI? (5)

Il tema delle consultazioni popolari si deve relazionare anche con il provocatorio Accordo 169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro sui diritti dei popoli indigeni e tribali. Questo accordo, firmato dal Governo del neoliberale PAN, nel 1966 (solo per approvare un anno dopo la legge sulle Miniere) obbliga, tra le altre cose, il governo e le imprese ad informare e consultare le comunità prima di concedere le concessioni e di iniziare i progetti, cosa che non è stata mai fatta.
Dato che l’Accordo 169 stabilisce dei procedimenti di informazione e consultazione previa delle comunità, e dato che le consultazioni comunitarie sono state celebrate molte volte dopo la concessione dei progetti, alcuni analisti hanno sostenuto che le consultazioni non solo sarebbero illegali, ma violerebbero esse stesse il citato accordo (Siglo XXI, 25/09/09), argomento che non solo è chiaramente interessato, ma anche assurdo.
In primo luogo, le consultazioni popolari realizzate sono una forma di protesta pacifica, contro la violazione dei diritti umani contenuti o non contenuti nel citato Accordo. In questo senso, vari relatori dell’ONU hanno segnalato chiaramente lo sfruttamento minerario come causa di gravi violazioni ai diritti umani e alle libertà dei popoli indigeni in particolare, e dei contadini in generale (per esempio il diritto all’alimentazione e alla terra).
Secondo, le consultazioni definite nell’Accordo 169 non assomigliano alle colazioni con video pubblicitario includo realizzate dalle imprese. Al contrario, le consultazioni delle comunità devono essere svolte “secondo le proprie consuetudini e tradizioni, in forma partecipativa e libera” (articolo 6). Le consultazioni realizzate dalle comunità sono un esempio evidente e vivo di queste “consuetudini e tradizioni”; cioè sono la modalità in cui sono state prese le decisioni comunitarie più importanti da secoli.
Terzo, è certo che le consultazioni comunitarie hanno invocato l’Accordo 169 (ad eccezione di Rio Hondo, dove la maggioranza della popolazione è meticcia), ma si basano anche su articoli vigenti della Costituzione politica, sul, Codice Municipale e la Legge di decentralizzazione. Ma oltre il tema legale, c’è l’obbligo morale di rispettare i risultati di questi processi comunitari di dialogo, consenso e decisione.
Per ultimo, con o senza l’Accordo 169, con o senza regolamento o legge specifica per la sua applicazione, le consultazioni comunitarie devono considerarsi e rispettarsi come forme valide, democratiche e pacifiche di resistenza, e come un chiaro messaggio al governo, alle imprese e alla società: “Non vogliamo grandi progetti nei nostri territori”. E’ forse un messaggio tanto difficile da capire”
(Camilo Salvadò, AVANCSO, Adital, 25/01/2010)

63 - ¿POR QUÉ OPONERSE A LA MINERÍA DE METALES? (5)

El tema de las consultas comunitarias también se relaciona con el controvertido Convenio 169 de la OIT sobre derechos de los pueblos indígenas y tribales. Este convenio, firmado por el gobierno del neoliberal PAN, en 1996 (solo para aprobar un año después la actual Ley de Minería) obliga, entre otras cosas, al gobierno y a las empresas, a informar y consultar a las comunidades antes de conceder las concesiones y de iniciar los proyectos, lo cual nunca se ha cumplido.
Dado que el Convenio 169 establece procesos de información y consulta previa a las comunidades, y que las consultas comunitarias se han celebrado muchas veces después de la concesión de los proyectos, algunos analistas han argumentado que las consultas no solo serían ilegales sino además violarían ellas mismas el mencionado convenio (Siglo XXI 25/09/09), argumento que no solo resulta claramente interesado, sino incluso absurdo.
Primero, las consultas comunitarias celebradas son una forma de protesta pacífica, contra la violación de derechos humanos contenidos o no en el mencionado convenio. En ese sentido, varios relatores de la ONU han señalado claramente la extracción minera como causa de graves violaciones a los derechos y libertades específicos de los pueblos indígenas, y de los campesinos en general (por ejemplo, el derecho a la alimentación y a la tierra).
Segundo, las consultas definidas en el Convenio 169 no se parecen a los desayunos con video publicitario incluido practicados por las empresas. Por el contrario, las consultas a las comunidades deben llevarse a cabo, "de acuerdo a sus propias costumbres y tradiciones, de forma participativa y libre" (artículo 6). Las consultas realizadas por las comunidades son una muestra evidente y vida de dichas "costumbres y tradiciones"; es decir, son la forma en que se han tomado decisiones comunitarias importantes desde hace siglos.
Tercero, es cierto que las consultas comunitarias han invocado el Convenio 169 (con excepción de Río Hondo, mayoritariamente mestizo), pero también se basan en artículos vigentes de la Constitución Política, el Código Municipal y la Ley de Descentralización. Más allá del tema legal, existe la obligación moral de respetar los resultados de estos procesos comunitarios de diálogo, consenso y toma de decisiones.
Por último, con o sin Convenio 169, con o sin reglamento o ley específica para su aplicación, las consultas comunitarias deben entenderse y acatarse como formas válidas, democráticas y pacíficas de resistencia, y como un claro mensaje al gobierno, las empresas y la sociedad: "NO QUEREMOS MEGAPROYECTOS EN NUESTROS TERRITORIOS" ¿Es acaso un mensaje tan difícil de entender?
(Camilo Salvadò, AVANCSO, Adital, 25/01/2010)

62 - PERCHÉ OPPORSI ALL’ATTIVITÀ DELLE MINIERE DI METALLI? (4)

Motivi politici
Quando si prende posizione a favore o contro l’attività mineraria metallica, generalmente si fa a partire dal punto di vista economico o ecologico. Un punto di vista non ancora considerato a fondo è quello politico. Con questo non ci si riferisce all’ideologia del governo di turno, dato che sia governi apertamente neoliberali (PAN, GANA) fino a quelli che si muovono sotto altre bandiere (DCG, FRG, UNE), tutti hanno dato il loro appoggio aperto o velato alle attività minerarie e hanno usato – con differenti sfumature – il discorso delle miniere come “motore di sviluppo”.
Il governo attuale non arriva all’estremo neoliberale di negare gli impatti ambientali dello sfruttamento minerario. Senza dubbio, sostenendo che questi impatti ambientali possono minimizzarsi, nasconde il fatto che non si devono ad “errori” o  “eccessi” delle imprese, ma che sono parte del processo normale dell’estrazione di minerali. Sembra che al governo interessano solo le necessità delle imprese e non delle comunità danneggiate o minacciate dalle attività estrattive. Solo così si spiega che la multinazionale Goldcorp (proprietaria della Montana Exploradora e della miniera Marlin) possa proseguire le sue attività, pagando lo stesso 1% delle regalie, nonostante le segnalazioni delle comunità, organizzazioni e dello stesso Ministero dell’Ambiente sugli impatti negativi ambientali ed economici. 
Gli apostoli del “libero mercato”, della “creazione di posti di lavoro”, e dell’”effetto a cascata”, hanno percepito molte “garanzie per gli investimenti” quando il personale della miniera Marlin ha impedito l’accesso al Sindaco di Sipakapa, che voleva prendere dei campioni di acqua dal bacino di decantazione (Prensa Libre, 17/03/2008), o quando il Ministero dell’Ambiente è stato obbligato a fare marcia indietro nelle azioni per l’ingresso del cianuro senza imposte e controlli ambientali (Prensa Libre, 30/06/2009).
Come era da attendersi, di fronte alle consultazioni comunitarie contro lo sfruttamento minerario e petrolifero, contro le grandi centrali idroelettriche e altre attività simili, il governo attuale ha adottato la stessa posizione di quello anteriore. Come la GANA, la UNE non ha riconosciuto la validità né ha considerato i risultati delle 24 consultazioni comunitarie realizzate durante le sua gestione, e presenta nuovamente il discorso della “opposizione allo sviluppo”, “degli indigeni manipolati” e della “ingovernabilità”.
Ma le consultazioni comunitarie non possono né devono essere viste solo sotto questa lente. A maggior ragione dobbiamo chiederci: se viviamo in una democrazia (debole e incompleta, ma alla fine è pur sempre democrazia), perché non sono stati rispettati i risultati delle 51 consultazioni comunitarie realizzate a partire dall’anno 2005? Forse più di mezzo milione di voti (600.800) contro l’attività mineraria e i grandi progetti non hanno nessun valore né peso politico? Forse la democrazia e le votazioni interessano solo in periodo elettorale ma non contano nel quotidiano?
(Camilo Salvadò, AVANCSO, Adital, 25/01/2010)

61 - ¿POR QUÉ OPONERSE A LA MINERÍA DE METALES? (4)

Razones políticas
Al tomar posición a favor o en contra de la minería de metales, generalmente se hace desde la economía o la ecología. Otro punto de vista aún no explorado a fondo, es político. Con ello no nos referimos a la ideología del gobierno de turno, pues desde los abiertamente neoliberales PAN, GANA), hasta los que navegaron bajo otras banderas (DCG, FRG, UNE) han dado su apoyo abierto o velado a la minería y han usado -con distintos matices-el discurso de la misma como "motor del desarrollo".
El gobierno actual no llega al extremo neoliberal de negar los impactos ambientales de la explotación minera. Sin embargo, al sostener que éstos pueden minimizarse, oculta el hecho de que no se deben a "errores" o "excesos" de las empresas, sino son parte del proceso normal de la extracción minera.
Parece que al gobierno sólo le importan las necesidades de las empresas pero no de las comunidades impactadas o amenazadas por las actividades extractivas. Solo así se explica que la transnacional Goldcorp (dueña de Montana Exploradora y de la mina Marlin) pueda proseguir con sus actividades, pagando el mismo 1% de regalías, pese los señalamientos de comunidades, organizaciones y del mismo Ministerio de Ambiente sobre los negativos impactos ambientales y económicos.
Los apóstoles del "libre mercado", la "creación de empleos" y el "efecto derrame", seguro sintieron mucha "seguridad para la inversión" cuando personal de la mina Marlin impidió el acceso al Alcalde de Sipakapa, quién pretendía tomar muestras del agua de la represa de colas (Prensa Libre 17/03/08), o cuando el Ministerio de Ambiente fue obligado a dar marcha atrás en sus acciones por el ingreso de cianuro libre de impuestos y controles ambientales (Prensa Libre, 30/06/09).
Como era de esperarse, frente a las consultas comunitarias en contra de la extracción minera y petrolera, mega hidroeléctricas y otras actividades similares, el gobierno actual adoptó la misma posición que el anterior. Al igual que la GANA, la UNE no hareconocido la validez ni ha acatado los resultados de las 24 consultas comunitarias realizadas durante su gestión, y replica el discurso de la "oposición al desarrollo", los "indígenas manipulados" y la "ingobernabilidad".
Pero las consultas comunitarias no pueden ni deben verse solo bajo ese lente. Más bien debemos preguntarnos: si realmente vivimos en una democracia (débil e insuficiente, pero democracia al fin) ¿por qué no se han respetado los resultados de las 51 consultas comunitarias realizadas desde el año 2005? ¿Será que más de medio millón de votos (600,800) en contra de la minería y los megaproyectos no tienen ningún valor ni peso político? ¿Acaso la democracia y las votaciones solo importan en temporada electoral pero no cuentan en el día a día?
(Camilo Salvadò, AVANCSO, Adital, 25/01/2010)

domenica 14 febbraio 2010

60 - PERCHÉ OPPORSI ALL’ATTIVITÀ DELLE MINIERE DI METALLI? (3)

Motivi ambientali
Quando si parla degli impatti ambientali dell’attività mineraria, non ci si riferisce semplicemente al fatto che si sta “rovinando il paesaggio” (Siglo XXI, 16/07/09), ma a problematiche molto più serie, che hanno a loro volta implicazioni nell’economia, nella salute e nella alimentazione delle comunità vicine alle miniere.
Questo è il caso de Valle de Siria in Honduras, dove sono stati denunciati molti effetti nocivi per la salute delle popolazioni vicine.
In Guatemala, i portavoce della miniera Marlin continuano a negare che l’attività mineraria abbia alcun tipo di impatto ambientale, nonostante siano già provati i loro effetti sulla salute degli abitanti delle comunità vicine, e nei lavoratori della miniera (eruzioni cutanee per contaminazione del sangue con rame e arsenico), così come il fatto che si sono già seccati 40 pozzi comunitari di acqua (Diario de Centroamerica, 11/03/09).
D’altro lato, vi è la deforestazione associata a questo tipo di industria (che è innegabile), dato che la miniera richiede, in primo luogo il taglio degli alberi della zona, e in secondo luogo, letteralmente di frantumare la montagna, per separare la terra dai metalli, utilizzando per questo macchinari pesanti (estrazione a cielo aperto) e sostanze chimiche velenose (lisciviazione con cianuro di sodio), che comporta la distruzione e contaminazione tossica del suolo.
Con questo intendiamo che i terreni dove è stata praticato lo sfruttamento minerario di metalli a cielo aperto, come si pratica oggi, non potranno essere utilizzati per le coltivazioni o per la riforestazione, avendo effetti a lungo termine sull’alimentazione delle comunità. Consideriamo inoltre che per ottenere l’oro necessario per fabbricare un anello da 18 carati, c’è bisogno di produrre fino a 20 tonnellate di rifiuti solidi.
Un altro impatto ambientale molto serio riguarda senza dubbio l’acqua. Ricordiamo che l‘impulso alle attività minerarie avviene soprattutto nelle bacini alti, dove, per ragioni geologiche, ci sono i maggiori giacimenti di oro e di altri metalli di valore strategico. Ma nei bacini alti vi è anche la maggior parte delle sorgenti d’acqua, quindi la deforestazione, lo sfruttamento esagerato delle fonti d’acqua, e la deterioramento  del suolo interrompono il processo di approvvigionamento idrico.
Come è stato indicato, l’acqua utilizzata dalla miniera Marlin è avvelenata con cianuro e altre sostanze chimiche durante il processo di lisciviazione, poi è arginata in un buca chiamata pomposamente “bacino di decantazione” che non impedisce la filtrazione delle sostanze chimiche verso le acque sotterranee. In Honduras e in altri paesi sono stati documentati incidenti per dispersione e rottura di queste “dighe”. In Guatemala ci sono già state varie fuoriuscite da camion con cianuro, che inoltre è stato introdotto nel paese senza pagare imposte (Prensa Libre 30/06/2009).
La questione dell’acqua non è solo preoccupante dal punto di vista dell’impatto ambientale, per la salute degli esseri viventi e per l’alimentazione. È anche evidentemente ingiusto che le miniere possano sfruttare in forma totalmente gratuita fino a 250.000 litri di acqua l’ora, la stessa quantità che una famiglia contadina potrebbe consumare in 22 anni (in teoria, se avesse accesso all’acqua potabile e intubata).
Quando di affronta il dibattito sul tema delle miniere di metalli, è necessario affrontare il tema ambientale con la stessa attenzione che si presta per quello economico.  Dopo tutto, ricordiamo che la posizione a favore delle miniere, in generale, nega i suddetti impatti ambientali.
Tra i gruppi che si oppongono a questa industria estrattiva, abbondano le critiche centrate solamente nell’aspetto ecologico (ignorando o prendendo in considerazione solo superficialmente il tema economico). Questa posizione, anche se si può sostenere da un punto di vista dell’etica della vita, con frequenza tende a una visione idealizzata della natura e delle comunità contadine, ignorando le condizioni di povertà e di sfruttamento nelle quali quotidianamente sopravvivono.
Allo stesso modo, le critiche centrate solamente sul tema economico, perdono di vista non solo i vincoli diretti tra ambiente ed economia, ma anche che gli impatti ambientali di per sé sono motivazioni con sufficiente peso per opporsi all’attività mineraria metallica. E’ necessario che le critiche non siano centrate solo sul tema delle regalie, perché anche se queste aumentassero, ciò non eliminerebbe gli impatti ambientali.
(Camilo Salvadó, AVANCSO, 25/01/2010 – Adital) – segue -

59 - ¿POR QUÉ OPONERSE A LA MINERÍA DE METALES? (3)

Razones ambientales
Cuando se habla de los impactos ambientales de la minería, no nos referimos simplemente a que se esté "arruinando el paisaje" (Siglo XXI 16/07/09), sino a cuestiones mucho más serias, que tienen a su vez implicaciones en la economía, la salud y la alimentación de las comunidades cercanas a las minas. Tal es el caso de Valle de Siria en Honduras, donde se han denunciado muchos efectos nocivos en la salud de las poblaciones cercanas.
En Guatemala, los voceros de la mina Marlin continúan negando que la actividad de la misma tenga algún tipo de impactos ambientales, pese a que ya están comprobados sus efectos en la salud de los habitantes de las comunidades cercanas y en trabajadores de la mina (erupciones en la piel por contaminación de la sangre con cobre y arsénico), así como el hecho de que se han secado ya 40 pozos de agua comunitarios (Diario de Centroamérica, 11/03/09).
Por otro lado, está la deforestación asociada a este tipo de industria (que resulta innegable), ya que la minera requiere, en primer lugar de talar los árboles de la zona, y en segundo lugar de literalmente "moler" la montaña, para separar la tierra de los metales, utilizando para ello maquinaria pesada (extracción a cielo abierto) y químicos venenosos lixivación con cianuro de sodio), lo que implica la destrucción y contaminación tóxica del suelo.
Con esto nos referimos a que los suelos donde se ha practicado la explotación minera de metales a cielo abierto, tal como hoy se practica, no podrán ser utilizados para cultivos o para reforestación, teniendo impactos a largo plazo en la alimentación de las comunidades. Consideremos además que para obtener el oro necesario para fabricar un solo anillo de 18 kilátes, se necesita generar hasta 20 toneladas de desechos sólidos.
Otro impacto ambiental muy serio es sin duda en el agua. Recordemos que el impulso a la minería se da sobre todo en las cuencas altas, donde, por razones geológicas, están los mayores yacimientos de oro y otros metales con valor estratégico. Pero es también en las cuencas altas donde están la mayoría de nacimientos de agua, por lo que la deforestación, la sobre explotación de las fuentes de agua y la destrucción del suelo interrumpen el proceso de recarga hídrica.
Como se indicó, el agua explotada por la mina Marlin es envenenada con cianuro y otros químicos durante el proceso de lixivación; luego es embalsada en un agujero llamado pomposamente "represa de colas", que no impide la filtración de los químicos a las aguas subterráneas. En Honduras y otros países se han documentado accidentes por derrames y roturas de estas "represas". En Guatemala ya ha habido varios derrames de camiones con cianuro, que además ha sido introducido al país sin pagar impuestos Prensa Libre, 30/06/09).
La cuestión del agua no sólo es preocupante desde el punto de vista de sus impactos ambientales, en la salud de los seres vivos y en la alimentación. También es a todas luces injusto que las mineras puedan explotar de forma totalmente gratuita hasta 250,000 litros de agua por hora, la misma cantidad que una familia campesina podría consumir en unos 22 años (en teoría, si es que tuviera acceso a agua potable y entubada).
Cuando se debate el tema de la minería de metales, existe la necesidad de prestar al tema ambiental por lo menos la misma atención que se da al tema económico. Después de todo, recordemos que la postura a favor de la minería por lo general niega dichos impactos ambientales.
Entre los grupos opuestos a esta industria extractiva, abundan las críticas centradas solamente en lo ecológico (ignorando o tomando en cuenta superficialmente el tema económico). Esta posición, si bien puede sostenerse desde el punto de vista de la ética de la vida, con frecuencia tiende hacia una visión idealizada de la naturaleza y de las comunidades campesinas, ignorando las condiciones de pobreza y explotación en que cotidianamente sobreviven.
De forma similar, las críticas centradas solamente en el tema económico, pierden de vista no solo los vínculos directos entre ambiente y economía, sino también que los impactos ambientales en si mismos, son razones de peso suficientes para oponerse a la minería de metales. Es preciso que las críticas no se centren sólo en el tema de las regalías, pues incluso si estas aumentaran, esto no eliminaría los impactos ambientales.
(Camilo Salvadó, AVANCSO, 25/01/2010 – Adital) - sigue -

mercoledì 10 febbraio 2010

58 - PERCHÉ OPPORSI ALL’ATTIVITÀ DELLE MINIERE DI METALLI? (2)

L’opinione che appoggia l’attività mineraria solo a partire da argomenti economici, ha una posizione errata anche nei confronti dell’impatto ambientale. Nel peggiore dei casi lo negano, nel miglior caso lo considerano come “fatti esterni” dei quali si devono fare carico le comunità, ma non le imprese minerarie. Si afferma anche che “ogni attività umana ha un impatto su ciò che la circonda” (cosa che è certa, ma non si può paragonare l’impatto ambientale di una fattoria familiare con quello di una grande impresa mineraria o petrolifera).
Anche tra chi si oppone alle miniere è frequente trovare argomenti ugualmente centrati sull’aspetto economico (in particolare sul tema delle regalie). Certamente la  questione è cruciale. Da nessun punto di vista può considerarsi giusto che alla società mineraria rimanga il 99% dei profitti e il restante 1% venga diviso tra governo centrale e governo locale, senza che nemmeno una briciola raggiunga le comunità più povere.
Ma anche aumentando le regalie (e anche se la menzogna dell’”effetto a cascata” fosse certa), l’attività delle miniere di metalli continua ad avere gravi impatti ambientali che non rientrano in nessun calcolo economico. Incentrare il dibattito solo sulla prospettiva dei “profitti”, della “ricchezza” e dell’”oro” (anche prendendo posizione a favore delle comunità) è limitare la discussione allo stesso campo in cui vogliono collocarlo i difensori dell’attività mineraria.
Si deve discutere seriamente se è meglio prevenire gli impatti ambientali e sanitari, o dare una piccola compensazione monetaria a coloro che li soffrono. Queste sono questioni che potrebbero essere affrontate in una futura legge sulle miniere. Una legge che, sebbene aumentando le regalie (diciamo al 50%) non sia incentrata solo sul tema economico, e che non protegga solo le imprese ma anche, e soprattutto, le comunità e la natura.
Da ultimo, risulta anche urgente che il governo fornisca alternative di produzione e sopravvivenza alle comunità perché non cadano nella trappola delle false “occupazioni”. O in qualsiasi caso, se non ritiene che quello sia il suo compito o non ha sufficienti entrate per quello, dovrebbe lasciare spazio e offrire facilitazioni alle comunità perché esse stesse costruiscano le proprie alternative economiche all’attività mineraria.  
(Camilo Salvadó, AVANCSO, 25/01/2010 – Adital)   - continua

57 - ¿POR QUÉ OPONERSE A LA MINERÍA DE METALES? (2)

La posición que favorece la minería sólo desde argumentos económicos, también tiene una postura errada sobre los impactos ambientales. En el peor de los casos, los niegan y en el "mejor" caso los consideran "externalidades", que deben asumir las comunidades pero no la minera. Incluso se afirma que "toda actividad humana tiene impactos en el entorno"(lo cual es cierto, pero no puede compararse el impacto ambiental de una milpa familiar con el de una gran empresa minera o petrolera).
Incluso dentro de las posturas opuestas a la minería, es frecuente encontrar argumentos igualmente centrados en lo económico (en especial en el tema de las regalías). Por supuesto, esta cuestión es crucial. Desde ningún punto de vista puede considerarse como justo que la minera se quede con el 99% de las ganancias y el restante 1% se divida entre el gobierno central y el gobierno local, sin que una gota llegue a alcanzar a las comunidades más pobres.
Pero, aún aumentando las regalías (y aunque la mentira del "efecto derrame" fuese cierta), la minería de metales sigue teniendo graves impactos ambientales que no entran en ningún cálculo económico. Centrar el debate solamente en perspectiva de las "ganancias", la "riqueza" y el "oro" (aún posicionándose a favor de las comunidades) es limitar la discusión al mismo terreno en el que quieren ubicarlo los defensores de la minería.
Debe debatirse seriamente si es mejor prevenir los impactos ambientales y sanitarios, o dar una pequeña compensación monetaria a quienes los sufren. Estas son cuestiones que podrían abordarse en una nueva ley de minería. Una ley que, aún aumentando las regalías (digamos a un 50%), no se centre solo en el tema económico, y que no vele solamente por las empresas sino también, y sobre todo, por las comunidades y la naturaleza.
Por último, también resulta urgente que el gobierno proporcione alternativas de producción y sobrevivencia a las comunidades para que no caigan en la trampa de los falsos "empleos". O en todo caso, si considera que ése no es su papel o que no tiene suficientes ingresos para ello, debería dejar espacio y dar facilidades a las comunidades para que ellas mismas construyan sus propias alternativas económicas frente a la minería.
(Camilo Salvadó, AVANCSO, 25/01/2010 – Adital)    -  sigue

56 - PERCHÉ OPPORSI ALL’ATTIVITÀ DELLE MINIERE DI METALLI? (1)

Motivi economici.
È frequente trovare nei mezzi di comunicazione espressioni di perplessità e sfiducia di fronte all’attiva opposizione che molte comunità contadine e indigene, e i loro alleati nel movimento sociale, hanno mantenuto già da alcuni anni, nei confronti dello sfruttamento minerario e petrolifero, della costruzione di grandi centrali idroelettriche, e dei megaprogetti, mega impianti, superstrade ecc.
Riferendosi in particolare all’attività mineraria metallica, possiamo vedere come in molti casi – non in tutti – si tratta di un discorso ideato da gruppi vincolati alle imprese, che vedono i loro investimenti e guadagni “in pericolo”. Questi gruppi di interesse non intendono capire le ragioni delle comunità, e dei loro alleati, ad opporsi alla “produzione di ricchezza”, e vedono solo “eco isterici” con agende segrete o contadini da loro manipolati.
I difensori interessati all’attività mineraria (e in generale ai megaprogetti) hanno idee talmente chiuse che solo possono capire l’opposizione a questi progetti affermando che i supposti “eco isterici” si stanno “arricchendo” con quello. E nemmeno possono accettare che le comunità si mobilitino da sole, senza manipolazioni, quando vedono violati i loro diritti o quando si rendono conto con i propri occhi i danni causati all’ambiente.
Per comprendere i motivi delle comunità e delle organizzazioni che si oppongono all’attività mineraria metallica, non si può procedere solo a partire dalla logica dell’economia capitalista. La ragione è semplice: nessun problema può essere compreso da uno solo dei suoi aspetti. Per questo, cercheremo di affrontare il problema dell’attività mineraria metallica dalla prospettiva della ecologia politica, che secondo noi comprende elementi economici, ambientali e politici.
La maggior parte delle posizioni favorevoli alle miniere – per esempio il recente studio del CIEN “Contributo dell’industria mineraria allo sviluppo del Guatemala” – vedono questa attività solamente dal punto di vista della ricchezza che genera, e sostengono che l’attività mineraria, per il semplice fatto di esistere, ha un “effetto a cascata” sul resto della popolazione (grazie a posti di lavoro ed investimenti privati).
Questo argomento è falso, dato che la ricchezza generata dall’estrazione, lavorazione e vendita di oro e di altri metalli strategici (come l’uranio) è e sarà sempre solo per l’impresa mineraria. L’”effetto a cascata” non esiste, a meno di considerare tale: 1) gli investimenti che fa ogni impresa per sviluppare la propria attività, come i pochi posti di lavoro per specialisti stranieri; 2) la ripartizione di dollari, che raggiunge solo gli azionisti, ma non le comunità interessate, 3) la potenziale fuoriuscita di cianuro nelle fonti d’acqua.
Queste affermazioni non si basano su pregiudizi o menzogne, ma sull’osservazione della realtà delle zone minerarie del passato (El Estor, San Ildefonso Ixtahuacán) e del presente (Sipakapa, San Miguel Ixtahuacán), che dimostra chiaramente come l’investimento privato non si è mai convertito in un migliore livello di vita per le popolazioni vicine alle aree di sfruttamento, mentre le imprese ottengono ogni volta maggiori guadagni: l’oncia di oro questo mese ha superato i 1.100 dollari.      
(Camilo Salvadó, AVANCSO, 25/01/2010 – Adital)   - continua

55 - ¿POR QUÉ OPONERSE A LA MINERÍA DE METALES? (1)

Razones económicas
Es frecuente encontrar en los medios de comunicación, expresiones de duda y desconfianza frente a la activa oposición que muchas comunidades campesinas e indígenas, y sus aliados en el movimiento social, han mantenido desde hace años ya, en contra de la explotación minera y petrolera, la construcción de grandes hidroeléctricas y los megaproyectos mega plantaciones, supercarreteras y otros).
Centrándonos en la minería de metales, podemos ver como en muchos casos -no en todos-se trata de un discurso fabricado por grupos vinculados a las empresas, que ven sus inversiones y ganancias "en peligro". Estos grupos de interés no quieren entender las razones de las comunidades y sus aliados para oponerse a la "generación de riqueza"; y solamente ven "ecohistéricos" con agendas ocultas o campesinos manipulados" por aquellos.
Los defensores interesados de la minería (y en general de los megaproyectos) tienen un pensamiento tan cerrado, que solo pueden entender la oposición a estos proyectos, afirmando que los supuestos "eco-histéricos" se están "enriqueciendo" con ello. Tampoco pueden aceptar que las comunidades se movilizan por si mismas, sin manipulación, al ver violados sus derechos o al percibir con sus propios ojos los daños causados al medio natural.
Para comprender los motivos de comunidades y organizaciones para oponerse a la minería de metales, no podemos hacerlo sólo desde la lógica de la economía capitalista. La razón es simple: ningún problema debe entenderse sólo desde uno desde uno de sus ángulos. Por ello se intentará abordar la cuestión de la minería desde el campo de la ecología política, que a nuestro juicio integra elementos económicos, ambientales y políticos.
La mayoría de posturas favorables a la minería -por ejemplo el reciente informe del CIEN "Contribución de la industria minera al desarrollo de Guatemala"-solamente ven esta actividad desde el punto de vista de la riqueza que genera, y sostienen que la minería, por el mero hecho de su existir, tiene un "efecto derrame" sobre el resto de la población (digamos por la vía de empleos o inversiones privadas).
Este argumento es falso, ya que la riqueza generada a partir de la extracción, procesamiento y venta de oro y de otros metales estratégicos (como el uranio), es y será solo para la minera. El "efecto derrame" no existe, a menos que llamemos así a: a) las inversiones que toda empresa hace para desarrollar su actividad, como los pocos empleos para especialistas extranjeros. b) el derrame de dólares que solo alcanza a los accionistas, pero no a las comunidades afectadas, o c) el potencial derrame de cianuro en las fuentes de agua.
Estas afirmaciones no se basan en prejuicios o mentiras, sino en la observación de la realidad minera pasada (El Estor, San Ildefonso Ixtahuacán) y presente (Sipakapa, San Miguel Ixtahuacán), que demuestra claramente que la inversión privada nunca se ha convertido en un mejor nivel de vida para las poblaciones cercanas a la explotación, mientras las empresas perciben cada vez mayores ganancias: la onza de oro superó los 1,100 dólares este mes.
(Camilo Salvadó, AVANCSO, 25/01/2010 – Adital)  - sigue

lunedì 8 febbraio 2010

54 - CRONACA DI UN CONFLITTO ANNUNCIATO: DA SAN MARCOS, L’ENERGIA ELETTRICA E 90 MILA PROTESTE.

San Marcos: 250 ordini di cattura, 5 comuni senza elettricità, 3 stati di allerta, 2 assasinii e una multinazionale (conosciuta per il suo modo di agire in America Latina) che opera molto vicino al governo “dal volto maya”. Prima di entrare nel dettaglio su quello che succede a San Marcos, è bene considerare il contesto in cui si svolgono i fatti, pertanto prenderò alcuni brani dalla pubblicazione “Guatemala: l’affare oscuro della luce” di Victor Ferrigno – Flacso – novembre 2009.
Il Guatemala registra le tariffe più alte del Centroamerica, la domanda di questo servizio è ormai quasi pari all’offerta, la produzione di energia elettrica deriva in maggior parte da idrocarburi, e ciò provoca alti tassi di inquinamento, si statalizzano le spese e si privatizzano gli utili, e la cornice giuridica che regola il processo, dalla produzione alla commercializzazione di energia elettrica, è poco trasparente e permette una serie di privilegi che dobbiamo pagare noi consumatori.
Con un potenziale per generare 13.000 MW da fonti rinnovabili (MEM), sufficiente per soddisfare tutto il Centroamerca, ci siamo ridotti a compratori di energia, irrefutabile evidenza del chiaro insuccesso del modello energetico nazionale.
Parallelamente, nella maggior parte delle Consulte Popolari Municipali che si sono svolte durante gli ultimi due anni, le popolazioni indigene hanno rifiutato l’installazione di centrali idroelettriche nel loro territorio, per varie ragioni, come la mancanza di una consultazione obbligatoria e vincolante nei territori indigeni, stabilita sia dall’Accordo 169 della OIL sia dal Codice Municipale. E poi perché i progetti interessano campi seminati, stanziamenti umani e luoghi sacri, senza offrire indennizzi e senza consistenti studi di impatto ambientale. I progetti inoltre non contemplano nemmeno benefici sociali, né il pagamento alle comunità di servizi ambientali, come la conservazione dei boschi e dei fiumi che rendono possibile il funzionamento delle centrali idroelettriche.
In quanto alle fonti di produzione di energia elettrica, il panorama non è certo promettente, il MEM informa che nel 1990, più o meno quando iniziò il processo di privatizzazione, la produzione di energia elettrica dipendeva per il 92% da fonti idriche e per l’8% da combustibili fossili; dopo 15 anni di “riuscite scorporazioni”, i dati del 2008 si sono invertiti, poiché il 58% della produzione dipende da combustibili fossili, con un incremento di quasi il 400% relativamente alla dipendenza da derivati del petrolio, i cui prezzi nel 2008 si sono quintuplicati.
Tutto quanto documentato in precedenza evidenzia che, in materia elettrica, si è proceduto in modo contrario alla ragione pubblica e all’interesse comune, soprattutto se consideriamo che in Guatemala il potenziale di produzione idroelettrica è di 5.000 MW e ne sfruttiamo appena il 13%, il potenziale geotermico è di 1.000 MW e se ne utilizza il 2,65%, e la produzione di energia eolica raggiunge una potenzialità di 7.800 MW, senza che vi sia nemmeno un impianto di questo tipo. Queste stime sono state calcolate dal MEM mediante rilevanti studi tecnici.
In questo contesto di crisi energetica, i costi delle tariffe dell’elettricità sono aumentati vertiginosamente, provocando sollevamenti popolari e la richiesta di nazionalizzazione dell’impresa Union Fenosa per ricavi illeciti, conflitti che hanno provocato scontri con la forza pubblica, la sospensione del servizio in tutto il municipio di Ocòs, l’incarceramento di dirigenti sociali a Malacatan, San Marcos e l’assassinio, lo scorso 24 ottobre, di Victor Gàlvez, che era a capo di alcune di queste proteste, nel sudovest del Paese.
(Il 13 di gennaio di quest’anno è stata assassinata al km. 208, giurisdizione di Genova Costa Cuca, Evelinda Ramírez, e tre persone che l’accompagnavano sono state ferite mentre tornavano dalla capitale, dopo aver dato vita a una campagna di denuncia degli abusi che DEOCSA – UNION FENOSA commettono a San Marcos)
(H. Alejandro Alfaro Santiz, in COPAE,  01/02/2010)

53 - CRÓNICA DE UN CONFLICTO ANUNCIADO: DE SAN MARCOS, LA ENERGÍA ELÉCTRICA Y 90 MIL QUEJAS.

San Marcos: 250 ordenes de captura, 5 municipios sin energía eléctrica, 3 estados de prevención, 2 asesinatos y una transnacional (conocida por su forma de actuar en Latinoamérica) trabajando muy de cerca con el gobierno “de rostro maya”. Antes de entrar en detalle sobre lo que sucede en San Marcos, es bueno tener en cuenta el contexto en el cual se dan los hechos. Para ello tomare unos extractos de la publicación “Guatemala el Oscuro negocio de la luz” de Victor Ferrigno, Flacso, noviembre 2009.
Guatemala registra las tarifas eléctricas más altas de Centroamérica; la demanda de servicio ya casi igualó a la oferta; la generación eléctrica depende mayoritariamente de hidrocarburos, provocando altos índices de contaminación; se socializan los gastos y se privatizan las utilidades; y el marco jurídico que regula el proceso, desde la generación hasta la comercialización eléctrica, es poco transparente y permite una serie de privilegios que debemos pagar los consumidores.
Con un potencial para generar 13,000 MW con fuentes renovables (MEM), suficiente para abastecer a toda Centroamérica, nos hemos convertido en compradores de energía, evidencia irrebatible del rotundo fracaso del modelo energético nacional.
Paralelamente, en la mayoría de las Consultas Populares Municipales que se han realizado durante los últimos dos años, las poblaciones indígenas han rechazado la instalación de hidroeléctricas en sus territorios debido a varias razones como la falta de consulta obligatoria y vinculante en territorios indígenas, que estipulan tanto el Convenio 169 de la OIT como el Código Municipal.
Además, porque los proyectos afectan sembrados, asentamientos humanos y lugares sagrados, sin ofrecer compensación y sin Estudios de Impacto Ambiental consistentes. Los proyectos tampoco contemplan beneficios sociales, ni el pago de servicios ambientales a los comunitarios, tales como la conservación de los bosques y ríos que hacen posible las hidroeléctricas.
En cuanto a las fuentes de generación eléctrica el panorama tampoco es halagüeño: el MEM da cuenta que en 1990, más o menos cuando comenzó el proceso de privatización, la generación eléctrica dependía en un 92% de fuentes hídricas y en un 8% de combustibles fósiles; después de quince años de “exitosas desincorporaciones”, los datos del 2008 se han invertido, pues un 58% de la generación depende de combustibles fósiles, registrándose un incremento de casi 400% en cuanto a la dependencia de derivados de petróleo, cuyos precios se quintuplicaron en 2008.
Todo lo documentado anteriormente evidencia que, en materia eléctrica, se ha procedido contra la racionalidad pública y el interés común, máxime si consideramos que en Guatemala el potencial de generación hídrica es de 5,000 MW y explotamos apenas el 13%; el potencial geotérmico es de 1,000 MW, utilizándose el 2.65%; y la generación de energía eólica alcanza una potencialidad de 7,800 MW, sin que exista una sola planta de este tipo. Estas estimaciones han sido calculadas por el MEM mediante estudios técnicos consistentes.
En este contexto de crisis energética, los costos de la tarifa eléctrica se han disparado, provocando alzamientos populares y la demanda de nacionalización de la empresa Unión Fenosa, por cobros abusivos, conflictos que ha provocado enfrentamientos con la fuerza pública, la suspensión del servicio en todo el municipio de Ocós, el encarcelamiento de dirigentes sociales en Malacatán, San Marcos y el asesinato, el pasado 24 de octubre, de Víctor Gálvez, quien encabezó varias de estas luchas, en el sur occidente del país. (El 13 de Enero de este año fue asesinada en el km 208, jurisdicción de Génova Costa Cuca, Evelinda Ramirez y 3 acompañantes fueron heridos cuando regresaban de la ciudad capital luego de desarrollar una campaña de denuncia de los abusos que DEOCSA/UNION FENOSA cometen en San Marcos)
(Por H. Alejandro Alfaro Santiz, COPAE,  01/02/2010)